Massimo Priviero nasce e cresce a Jesolo. Dall’ascolto e dall’amore per il folk, il blues e il rock prendono forma le sue prime canzoni. In particolare, il rock d’autore si fonde con la ricerca poetica caratterizzando suono, scrittura e produzioni. Su un versante più strettamente lirico, nei suoi testi e nella sua cifra stilistica di scrittura è spesso presente quella che potremmo chiamare “forza di vivere” che accompagnerà nel tempo ogni sua canzone. Trasferitosi a Milano alla fine degli anni ’80, dopo aver firmato per Warner Music, nel 1988 incide a Londra e pubblica l’album d’esordio intitolato San Valentino.
Nel 1990 esce Nessuna resa mai con la produzione di “Little” Steven Van Zandt, chitarrista e coproduttore di Springsteen e la partecipazione di vari membri della PFM. Al di là dell’ottimo successo ottenuto col disco, Priviero è spesso impegnato in questi anni anche sul fronte sociale ed è per esempio chiamato da “Sos Racisme” per essere il testimonial italiano delle sue battaglie di giustizia sociale. E’ rilevante l’attività live, con la sua band ma anche insieme a grandi artisti internazionali. Citiamo come esempio del periodo le performance insieme a David Crosby.
Nel 1992 pubblica Rock in Italia. Una parte di produzione artistica è affidata a Massimo Bubola. Seguiranno Non mollare (1994) e Priviero (1998), quest’ultimo con la produzione artistica di Lucio “violino” Fabbri.
Nel 2003 esce Testimone e nel 2006 Dolce Resistenza. In quest’ultimo, inizia la collaborazione col chitarrista Alex Cambise che lo affiancherà poi per molto tempo. In Rock & Poems, 2007, Priviero reinterpreta i grandi classici dei ’60-’70: da Dylan a Waits, Fogerty e tanti altri. Nel 2009 esce l’antologia “Sulla strada” distribuita, come già accaduto anche per molti suoi precedenti lavori, in vari paesi europei.
Nella primavera del 2010 esce il primo live ufficiale con DVD intitolato Rolling Live a timbrare i numerosi tour dell’artista. A tirare anche un po’ le somme, anche dal punto di vista dei numeri, più volte i suoi album compaiono nei top 50 delle classifiche ufficiali di vendita. Esce in questo periodo anche un libro/biografia su di lui scritto dallo scrittore e giornalista Matteo Strukul intitolato “Nessuna resa mai. La strada, il rock e la poesia di Massimo Priviero”.
Priviero, che è anche laureato in Storia contemporanea all’Università di Venezia, si dedica anche a spettacoli di musica e teatro civile (citiamo tra gli altri ”Dall’Adige al Don” insieme allo scrittore Roberto Curatolo, le “Storie dell’altra Italia”, firmato insieme ai Gang e a Daniele Biacchessi fino al più recente “Migrazione” con l’attore Giovanni Giusto sull’emigrazione italiana nel mondo di ieri e di oggi). Incide in questi anni, servendosi però di uno pseudonimo, alcuni album di musica gospel dal taglio davvero originale che ottengono anche grandi riscontri anche commerciali.
Nel 2012 esce l’album Folkrock, realizzato con il violinista Michele Gazich, un viaggio acustico che rilegge e reinventa alcuni classici della musica internazionale. Nel settembre del 2013 pubblica “Ali di libertà”, suo nuovo album di inediti sempre in bilico tra folk e rock d’autore, chiudendo il lungo tour con un sold out all’Alcatraz di Milano, registrato e successivamente pubblicato col titolo “Massimo” .
A fine 2014 insieme ai Luf, gruppo di musica etnopopolare, realizza un lavoro di musica e memoria intitolato “Terra e pace” dove vengono rilette le più celebri melodie della tradizione alpina italiana.
Numerosissimi in tutti questi anni, oltre ai concerti, i riconoscimenti di pubblico e di critica, insieme ai premi (citiamo Premio Lunezia e Premio Enriquez, tra i tanti). In tutto questo, l’artista rimane sempre fedele ai suoi principi poco inclini al compromesso per mantenersi fuori da certe logiche commerciali. “ (…) Amo scrivere e incidere la mia musica. E amo incontrare quella che chiamo la mia gente ai miei concerti. Tutto il resto mi interessa davvero poco. Pur nella mia fragilità esistenziale, mi porto dentro dei valori di vita molto solidi che cerco di non tradire. Naturalmente, ho delle mie precise idee sul mondo in cui viviamo e in particolare su ciò che chiamiamo cultura. Oltreché naturalmente sulla musica d’autore. E quasi mai queste mie idee coincidono con la vulgata diffusa. Tuttavia, faccio del mio meglio per non giudicare. So però distinguere sufficientemente bene quello che conta, e per certo conta per me, e quello che invece considero il nulla…”.
A fine 2017 esce All’Italia, un concept-album che omaggia storie di vita degli italiani di ieri e di oggi, un vero atto d’amore per il nostro paese. E’ presentato in anteprima all’Ariston di Sanremo dove Massimo torna come ospite speciale al Tenco. Seguirà un lungo tour, italiano e non solo, che terminerà a Città del Messico dove è invitato dall’Università e dall’Istituto di cultura italiano, dopo esser comunque stato precedentemente per esempio in Spagna, in Francia, in Lussemburgo e in Croazia. Alla fine del 2018 celebra 30 anni di carriera nella prestigiosa cornice del Teatro della Triennale di Milano. Le canzoni di “All’Italia” diventano colonna sonora del docufilm Italia Addio non tornerò (prodotto dalla fondazione Paolo Cresci e proiettato al Senato della Repubblica oltre che in vari istituti di cultura italiana del mondo).
Durante questo periodo, scrive di getto il libro Amore e Rabbia che esce nella primavera del 2019. Un mix di autobiografia, romanzo e percorso di autocoscienza scritto in un inverno in riva al suo mare d’alto Adriatico durante un ideale ritorno a casa. Le numerose presentazioni si trasformano in un vero e proprio spettacolo di parole e musica che viaggia parallelo ai concerti.
La rivista Buscadero, che più volte in passato aveva votato i suoi album come disco italiano dell’anno e lo aveva definito “la voce più bella e più vera del rock d’autore italiano”, gli dedica la copertina.
Nel 2022 Massimo inizia una collaborazione discografica con la Multiforce di Tiziano Giupponi la quale si occuperà della promozione e distribuzione dell’intero catalogo.
In generale, a fare in due parole le somme di una produzione ormai ultra decennale, Massimo Priviero ci arriva come il ritratto di un artista e di un uomo profondamente “vero”. In equlibrio con cuore e mente. In particolare i suoi live sono sempre un’esperienza forte ed emotiva che scavalca parecchio il fatto musicale. In più, volendo tirare anche i conti, è un artista che ha venduto in carriera parecchie centinaia di migliaia di copie. In Italia e non solo. Restando però sempre fedele alle ragioni della sua musica e ad uno specifico modo di comunicarla da lui scelto per rapportarsi col mondo.
Nel 2024 esce l’album “DIARIO DI VITA” su etichetta CONTAMINATION della MULTIFORCE,
(Edizioni Musicali MULTIFORCE Publishing)
13 stupende canzoni che trasmettono amore ed energia.
Un bambino, un ragazzo e un uomo. Il suo diario di vita. Che si traduce in canzoni scarne e dense dove l’essenziale è quasi solo la voce o lo sono le parole e il racconto. Fragilità. Forza. Legami non perdibili. Orgoglio. Legami umani. Terra madre. Valori esistenziali. Amore, naturalmente sempre e in ogni declinazione. Rabbia. Spiritualità. Ritorno struggente a un passato. Desiderio di scrivere il domani. Sogni nel vento. Consapevolezza. Santa solitudine. Dialoghi. Frammenti d’esistenza. Voglia di vivere. Libertà e coraggio come fari della vita dell’artista. Tutto questo è “Diario di vita”, il nuovo album di Massimo Priviero, in uscita anche in formato vinile.
«Ogni traccia un capitolo di vita. Forza di vivere. Fragilità di vivere. Nella mia testa, il bambino diventa ragazzo poi uomo e poi rifà il suo giro. Passato, presente, futuro. Sequenze emotive. Talvolta foto struggenti introverse e acustiche, di cifra poetica in scrittura del testo, altre volte scariche d’energia elettrica di quel che chiamiamo rock d’autore, ormai da tanti anni cifra mia, dove hai bisogno di parole che suonano e reggono ritmiche. Inizio, sviluppo, compimento d’esistenza. Artistica e di vita. Perché sono io stesso quel che scrivo suono e canto. Ho da tanto tempo gran distacco sonoro e ancor più di prassi e valori rispetto a quel che gira intorno. Nelle sue molteplici forme e pure in ciò che è chiamata visibilità e comunicazione. Certo non amo granché quel che gira intorno. Vero che, spesso, la mediocrità identificante è salvifica. Poi, ovvio che ciò che è banale e talvolta un po’ infame prescinde da ogni suo successo. So ben poco di ciò che accade in televisioni, radio commerciali, social e altro di prossimo. Faccio pure il mio più possibile per non giudicare. Mi importa poco di certa fama, pure sperimentata, se essa non è rapportata ai talenti di un uomo. È discorso d’esistenza. Credo anche probabile che questo sia l’ultimo album della storia mia. Detto con un sorriso e per ragioni che un uomo “vero” non racconta al mondo e al suo circo mediatico. Ma chissà, forse capiterà che un giorno dica di come sto. Grazie a Dio, conservo una sorta di esistenza laterale innamorata della vita. Del sorriso, del pianto o del sogno come del sudore o del lavoro che la accompagna. Ho da render conto con le parole, con la musica e con la mia voce ad un frammento di popolo che mi cerca e che trova dentro a quel che faccio un modo simile al suo di stare al mondo. Tradurlo, suonarlo, cantarlo e magari talvolta sublimarlo è mestiere mio. Forte e fragile. Ho da render conto a chi mi è davvero vicino. E ho da render conto ai valori in cui credo. E ho da render conto alla mia anima o a ciò che ne è equivalente. Tutto il resto per me conta poco.» Massimo Priviero
«Ho pensato – racconta Priviero – che fosse una buona idea approfondire a voce le suggestioni, le ispirazioni e il perché di composizione e di realizzazione dell’album. Traccia per traccia. Credo sia in linea con l’idea di un Diario di Vita che raccoglie immagini e passaggi esistenziali. Tutto è inciso con molto istinto e senza particolari orpelli. Con nello sfondo la base strumentale e una sorta di confessione a voce con cuore aperto. Senza alcuna foto e con durata non estesa. E’ cosa in qualche modo forte e fragile nello stesso tempo. Come se fosse lo specchio di quanto potete ascoltare nell’album. Non parole inutili che si aggiungono ma come un quadro ideale dove possiate in caso inserire vostri pensieri ed emozioni. Grazie di cuore per l’ascolto»
DIARIO DI VITA – track by track scritto dall’artista
IL MIO FIUME
Mio nonno paterno era una figura molto centrale nella mia infanzia e nella mia adolescenza. Nato a fine ‘800, giovane soldato valoroso e decorato sul Piave, poi pescatore, operaio, padre di 4 figli, appassionato lettore, da autodidatta, di classici della letteratura. Lo immagino ancora oggi camminare vicino a me, lento nella sua vecchiaia consumata fino alle ultime gocce, un piccolo sigaro toscano che ogni tanto compare, la riva del mare che si mescola con la foce del Piave. I suoi silenzi quando gli chiedevo della sua guerra di ragazzo, i suoi sorrisi quando parlava della nonna e dei figli, tra cui ovviamente mio padre, la sua intatta chiarezza stanca quando toccava con le parole i luoghi della vita dove il destino lo aveva fatto lavorare ogni giorno da mattina a sera. I suoi ideali intoccabili. Il legame indissolubile con la sua e dunque con la mia terra. Che era dentro di lui. E della quale conosceva ogni respiro, ogni luce, ogni ombra, ogni parola.
IL SOGNO
La vita e il destino mi fecero, fin da ragazzo, un grande regalo. È questa cosa di non soffrire per quella che chiamano solitudine. Anzi, spesso di cercarla e di abbracciarla. Ero un ragazzo solitario, spesso in pesante conflitto col mondo intorno che non amavo e che non sentivo mio. E il mio sogno, nella sua accezione nobile alla luce di un sole e dunque non nel rifugio di chi non ha le armi e la forza per crederci, era quanto di più grande e concreto potessi cercare e immaginare. Era il sogno di realizzazione della mia vita e delle sue aspirazioni. Era pure quello di riuscire a trasformare passione e magari talenti in un mestiere di cui vivere. Era la bellezza. Era l’intensità emotiva. Era essere in piedi lungo la strada che a poco a poco prendeva la sua forma e che doveva collimare coi miei desideri.
Coi miei valori. Anche con le mie ambizioni. Non era sogno migliore o più grande di altri. Ma era il mio. E nessuno avrebbe potuto spezzarlo perché io lo avrei inseguito per sempre. E lo avrei difeso. Coi denti. Con la testa. Con l’anima.
IL MARE
Scrivere canzoni d’amore, intendo quelle propriamente dette, non è mai stato il mio tratto caratteristico o migliore. Ne avevo scritto ed inciso un paio di nuove con queste caratteristiche anche per questo nuovo album. Ma poi mi rendevo conto che ciò che timbrava in maniera per me ottimale questo diario di vita esisteva già ormai da qualche anno. Dunque ho deciso di rimetterci mano e voce. Volevo lo struggimento del ricordo. Volevo la riva del mio mare. Volevo gli occhi e la voce che mi suonava dentro di chi ho tanto amato da ragazzo. Ma volevo anche l’idea di nuovo amore da cercare per chiudere giusto con quel tipo di parole ogni inciso della canzone. Volevo vita che continua. Nuovo giorno che ricomincia. Che ovviamente non ti fa dimenticare quel che hai vissuto e che certo pure non lenisce, in caso, pene del tempo d’amor perduto. Fa parte del gioco di ogni esistenza. Giusto? Ma fa parte del gioco anche andare avanti e cercare nuova strada. Serve per costruire e per trovare nuovo amore.
VINCERE
Prendete un riff di chitarra d’assalto. Raddoppiate il tempo di una batteria. Enfatizzate l’uso della voce e andate incontro alla vita con forza e col coltello tra i denti. Pensate che quel che desiderate è vincere e che il mondo che sta intorno vi debba trattare come vi meritate. È una bella illusione ovviamente. Ma vi fa tanto piacere caricare idealmente il vostro fucile fosse pure per sparare verso il cielo. Pensi a quando sei stato bambino, poi ragazzo e a quando sei diventato un uomo. Ti rivedi, come è nel caso mio ma ognuno può costruire una sua immagine, con chitarre bassi batterie pianoforti e tutto il necessario in una bella sera e sopra un qualsiasi palco e ti viene anche da dire “se vi avvicinate vi faccio vedere io come si fa”. Anzi forse meglio che non vi avvicinate troppo che vi spaventate. Sorrido. Questo è anche stato. Poi la vita non è né vincere né perdere. E lo impari per strada. Vincere o perdere? Stronzate. La tua vera e unica vittoria e quella di capire se la tua vita ha avuto e se ha un senso e un valore. Facile? Facile per niente.
FINO ALLA FINE
Fin da ragazzo pensavo che comunque fosse andata la vita sarei stato l’ultimo ad alzare le mani. L’ultimo ad arrendersi nella mia guerra santa col mondo che girava intorno. Il tempo ti aiuta ad acquisire poi un concetto fondamentale. Che vincere o perdere, nel modo in cui questa idea viene declinata dai più, non ha alcun valore né senso. O se preferite che il mondo è pieno di mediocri e di pavidi di successo e di sconfitti o di perdenti che han valori e talenti infinitamente più grandi e più nobili. Detto in due parole. La fortuna non c’entra nulla. C’entra dell’altro che non stiamo qui ad elencare. Specie quando sei tu a scegliere il gioco che vuoi fare. Il tuo coraggio e la tua libertà non sono misurabili alle “medaglie” che ti assegna il sistema di cui più o meno fai parte. Medaglie che spesso contano poco o niente. TI resta saldo il concetto da cui sei partito. Se ti resta saldo ciò che chiami un modo di stare al mondo che ti sembra migliore e più giusto per te. Ti resta saldo di difendere quel tuo modo. Quel tuo valore. Fino alla fine. Del tempo e del gioco di vita che fai.
IL SUONO
Nel testo della canzone mi è venuto di chiamarlo suono ragazzino. Non lo è, naturalmente. Anzi. Ma è quel suono di band soprattutto di matrice americana, se volete molto ben sublimato da Springsteen e soci, di cui io e i miei amici ci eravamo innamorati intorno ai vent’anni durante lunghe sere meravigliose trascorse a incrociare strumenti. Per tale ragione il testo si rivolge ad un amico mio carissimo. E per tale ragione il testo si aggrappa con forza al passato per poi approdare ad un sorriso nel presente. Come se questo suono, come se questa energia non potesse essere sconfitta dal tempo che scorre. Per cui immaginate ritmiche sempre in spinta, chitarre spianate, pianoforte puntato sulle note acute e tutto il resto che ci va insieme. Piacere assoluto di suonare. Rock d’autore o dategli voi un nome. Progressioni armoniche dritte come dei fusi. Voce tirata e felice, occhi chiusi quasi a nascondere commozione senza tempo. Questo era. Questo è. E sono semplicemente felice e anche orgoglioso di aver vissuto tutto questo fino in fondo.
AMICO PER SEMPRE
Mi resta un solo vero amico dei miei vent’anni. Posto che ormai tanti anni fa, alla fine degli anni ottanta e quando io ne avevo venti e rotti, lasciai la mia terra di nordest in direzione Milano. E la vita poi è passata, nonostante ci fossero e ci siano i miei raid ogni due tre mesi verso la riva adriatica dove ancora vive mia madre. Ma dicevo del mio unico vero amico, probabilmente. Legame che il tempo e le distanze hanno cambiato inevitabilmente, ma che non è mai venuto meno. Che è rimasto forte. Così questo mio abbraccio spero abbia buone ali per arrivare fino a Udine dove lui e la famiglia che si è costruito negli anni vivono. Innamorato di letteratura e di cinema, lui sì malinconico tanto se ce n’è uno. Ci sentiamo. Ci scriviamo. Ci vediamo ogni volta che sono dalle sue parti. Per quelle cene a quattr’occhi che sono più o meno sempre una specie di bilancio che ci facciamo rigorosamente lui ed io da soli. A dirci tanto. Ovviamente anche di figli cresciuti e di fragilità e il tempo che passa e tutto il resto. Forza amico mio. Sempre. Ci sono. Ed è bellissimo che tu ci sia.
CANTICO
Son stato e sono ancora un appassionato di antiche melodie della tradizione scozzese e irlandese. Magari fin verso il 1600/700/800. Spesso hanno la peculiarità di avere caratteristica epica, cantabile pure in coro, che però si accompagna a dei testi di assoluta malinconia. Ma, detto giusto per capirci, il fatto che la storia d’amore purtroppo prima o poi finisca non impedisce alla canzone d’ essere cantata da migliaia di persone magari anche in uno stadio di calcio. È con questi pensieri che riascoltavo giusto “Loch Lomond”, melodia traditional del settecento scozzese. Il suo riferimento e la progressione armonica mi sembrarono perfetti per impostare questo canto esistenziale e solitario. Immaginate dunque un’alba dove uno si mette in cammino. In un luogo un po’ appartato ma nella natura dove un uomo può liberamente cantare, anche a voce piena, senza che il mondo intorno gli dia del matto. Voce sola. Voce che fa un gran bel salto di tono. Strumenti che si aggiungono. In italiano. Con spirito scozzese.
BUONGIORNO ANIMA
Ecco appunto. Dialogo con te stesso. Talvolta sorridente. Adesso uso una parola che detesto, pure abusata e sputtanata nel tempo che viviamo. La parola è leggerezza. È la chiave spesso usata dall’idiota più o meno consapevole. Non lo so, pensate a uno speaker più o meno scemo di una televisione o di una radiolina commerciale. Convinto che la sua superficialità o la sua stupidità sia da chiamare leggerezza. Penso a Italo Calvino che si rivolta nella tomba. Per cui questa canzone vuole essere leggera, pur con qualche seria badilata all’interno, e mi serve che ci sia visto anche il “peso” che hanno molte canzoni dell’album. Ma la leggerezza non è idiozia. Però vallo a spiegare. E aggiungo che non credo affatto che la leggerezza sia la chiave di una qualche salvezza. Per niente. Penso che possa essere uno stato d’animo che serve. Che può essere utile e giusto. Divertente. Probabilmente con dentro una cifra di umiltà che dobbiamo inventarci per non soccombere al mistero della nostra esistenza. Punto. Buongiorno anima. Mi prendo con me anche questa faccia tua.
IL MIGLIORE DEI MONDI POSSIBILI
Avevo infilato una versione del brano tanti anni fa in un album live. Forse senza dargli il giusto risalto. C’è questa idea per cui l’opinione di molti è quella per cui il nostro occidente, almeno così lo chiamiamo, sia il migliore dei mondi possibili realizzati. Quello con più libertà, quello con più diritti, quello con più tutele. Qualcuno potrebbe dissentire? Qualcuno potrebbe dire che per esempio sotto una dittatura vivremmo meglio? Certo che no. Solo che questo concetto viene del tutto distorto e manipolato per essere usato in forma di convenienza. Solo che la questione invece è un’altra. Quanto potrebbe essere migliore il mondo possibile? E la semplice risposta è che potrebbe essere infinitamente migliore. Non serve neppure scomodare John Lennon e cantare un capolavoro come “Imagine”. Che è l’approdo di un uomo se ben ci pensate. Chissà, forse basterebbe semplicemente declinare in modo vero un concetto che chiamiamo bene comune. La nostra individualità infinitamente migliorabile, il nostro pensare e agire in termini di comunità è infinitamente migliorabile. Non c’è nessuna ragione che ci deve impedire di lavorare per questo. Per costruire davvero il migliore dei mondi possibili.
PROSSIMA VITA
Ah, ho certezza che non vivrò 500 anni. Un gran peccato! E, da fragile credente, ho certo speranza che esista un aldilà. Che è chiamata Spes contra spem disse un santo in latino tanti secoli fa. Ma naturalmente, come giusto e ovvio che sia, neppure di questo abbiamo certezza. Però mi capita di chiudere gli occhi e di immaginare. E quando per strada trovo giusto un sorriso, non necessariamente dopo del vino buono, mi piace ribaltare tutto quanto e disegnare nella mia testa un colore che a me arriva bellissimo. Per il mondo e per me stesso. Mi piace credere che i miei valori siano abbastanza saldi e che siano giusti. Per questa semplice ragione mi piace immaginare una futura esistenza bellissima. Dove questi che qui chiamo valori riescano ad essere ancora più forti di quanto lo sono nei miei passi di oggi. Li prenderei per mano. Gli direi aiutatemi a camminare. Nel mio caso, magari gli direi anche di aiutarmi a dare tutto quello che ho. Perché possa servire ad altri uomini. Perché possa dare una mano. Perché possa dare un senso migliore a quel che sono e a quel che sarò.
RITRATTO
Quando scrissi questa sorta di lungo soliloquio in musica, inizialmente lo avevo intitolato commiato. Perché mi sembrava il saluto finale di un musicista durante un passo della sua essenza solitaria. Lo composi, lo incisi e poi lo misi in un cassetto ideale. Ero fate conto più o meno a metà della scrittura dell’album. Ascoltavo in quei giorni un vecchio meraviglioso disco di Van Morrison (Astral Weeks) e Ritratto è in qualche suo modo figlio di “Madame George”. Un solo e ostinato giro armonico che prende forma e densità a poco
IL MIO NOME È PACE – bonus track
È naturale quanto la pace sia o meglio dovrebbe essere il bene supremo per l’umanità. Allo stesso modo viviamo quello che ben sappiamo a varie latitudini. In altro piano, potremo facilmente approfondire di guerre che pure potremmo definire giuste se fatte da popoli aggrediti o di guerre fatte per la libertà magari anche scomodando la storia del nostro paese. E possiamo andare avanti parecchio in simili declinazioni. Questa canzone non vuole essere un semplice inno alla pace. Ne sono stati fatti tanti, da quelli più memorabili fino ad arrivare a quelli più scontati. “Il mio nome è pace” è prima di ogni altra cosa la traduzione e l’abbraccio ideale che io devo a ogni combattente per la pace. Dunque è un abbraccio a un essere umano che combatte in tanti fronti e che si pone come primo pensiero quello di soccorrere e di salvare vite. Questo viene prima di ogni cosa. Questa è cosa davvero sacra. Un uomo che combatte per la pace. Al di là di ogni distinzione religiosa per esempio. Al di là di un colore politico o di un confine. Essere guerrieri di pace. Essere volontari di pace. Non è nata per caso la mia vicinanza con l’associazione “Prohumanity”. Associazione che ammiro e alla quale sono in questi tempi assai legato. È questione di destino. È questione di ideali di vita che camminano con le stesse gambe e che una qualche stella un giorno ha deciso di far incontrare. C’è tanto da fare. Insieme.